Un paese dove vince il negazionismo, non è un paese.

In un’Italia che guarda spesso all’odio non posso biasimare chi facendo proprio le parole di una nota canzone di Giorgio Gaber, spesso ripete a se stesso, «Io non mi sento italiano». È in questi anni, infatti, che un pericolo grave si aggira per questa nostra Italia: il razzismo. Questo cancro misto a ignoranza, decadenza culturale e mala politica sta toccando livelli inaccettabili. La cronaca del nostro declino appare quotidianamente sui media. In Lombardia, durante una partita di calcio tra bambini, un genitore urla dagli spalti «negro di merda» a un ragazzino di colore di dieci anni che ha commesso fallo verso suo figlio “di pelle bianca”. A Verona, Balotelli è paragonato a una scimmia, il giorno dopo un capo ultrà dichiara che l’attaccante del Brescia, pur avendo la cittadinanza italiana, non sarà mai un vero italiano, mentre Salvini accusa lo stesso Balotelli di voler fare il fenomeno. Ad Alessandria, su un bus, una “signora” dice a una bambina africana di sette anni «tu qui non ti siedi», impedendole di occupare il posto libero accanto a lei. Fortunatamente interviene veementemente un’altra donna e aiuta la bambina a sedersi, nel disinteresse generale. A Roma una libreria antifascista, La Pecora elettrica, è stata data alle fiamme dolosamente per ben due volte. Da pochi giorni la senatrice Liliana Segre è costretta a vivere sotto scorta. Dopo le minacce e gli insulti, anche online, dopo lo striscione indicibile di Forza nuova di fronte al teatro dove stava parlando agli studenti, arriva l’ennesima vergogna che testimonia la mostruosità in cui questo Paese si è trasformato: Liliana Segre a cui andrebbe fatto un monumento è invece sotto scorta. Siamo di fronte a una persona che ha vissuto parte della sua infanzia tra gli orrori dell’odio e della discriminazione, tra i tanfi del lager e l’abominio nazista. Oggi questo Paese che si professa democratico, a ottantanove anni, dopo la campagna “aizza belve” seguita alla sua proposta di una commissione contro l’odio, la costringe a vivere sotto scorta umiliandola ancora una volta. Sua unica colpa essere una vittima degli orrori nazisti. A tanto arriva la sconcezza in cui l’Italia si è trasformata. Una donna, una senatrice della Repubblica («non eletta» ha rilevato il capitano dell’odio) il cui incarico è stato conferito dalla più alta carica dello Stato, è costretta a causa delle menzogne altrui, del loro volere salvaguardare il proprio diritto a scatenare l’odio, a vivere con la paura dopo aver subito per anni, da bambina qual era all’epoca dei fatti, le peggiori umiliazioni e i peggiori incubi inimmaginabili dalla mente umana.

La nostra civiltà contemporanea ancor oggi non riesce a scrollarsi di dosso un certo concetto di diversità intesa sotto vari aspetti: religioso, etnico, sociale, sessuale per cui i diversi sono, sempre e comunque, gli altri. Ecco il valore della centralità della persona. Il diritto, la libertà di pensiero, la libertà politica, quella di essere se stessi, ancora oggi nel terzo millennio sono sottratte all’uomo da parte di un altro uomo. E ciò può accedere ancora perché, non dimentichiamocelo, spesso, la storia si ripete. Credo che Auschwitz, tra le tante cose, a me abbia insegnato soprattutto il rispetto verso l’altro. Ecco un’altra conferma del valore dell’individuo, e della sua unicità e centralità.

Il dovere di testimoniare la civiltà della democrazia e della pace. Oggi la scorta alla senatrice Segre segna un ritorno al passato, una regressione culturale. La memoria, quindi, diventa fattore operante che riguarda tutti. Rispetto a essa chi fa pratica di libertà e di democrazia ha sempre un dovere. E quello di oggi diviene testimonianza per il dovere di domani. La libertà non è un concetto astratto, ma vive solo se si realizza concretamente. I nostri giovani hanno quindi bisogno della memoria storica poiché l’oblio (o peggio la mistificazione) avvelena la realtà. Mettere sullo stesso piano l’Italia fascista con quella che non lo era e che, anzi, la combatteva, vuol dire manipolare la realtà storica. L’Italia della dittatura e delle leggi razziali non può essere paragonata all’Italia della Resistenza e della Costituzione repubblicana. La nostra democrazia ha radici ben precise e luoghi storici di riferimento che nessuno può e deve dimenticare. Non dimenticare vuol dire, infine, schierarsi con decisione contro ogni razzismo e ogni fascismo. Indicativa è la lettera che Liliana Segre ha scritto per la nostra Scuola di legalità Peppe Diana di Roma e del Molise che noi porteremo in tutte le scuole d’Italia. Da queste brevi riflessioni c’è da imparare e da ricordare affinché queste orrende tragedie non debbano ripetersi mai più. Una stortura mi preoccupa maggiormente: è che s’iniziano a colpire bambini innocenti e anziani, indice di sub-cultura che vigliaccamente colpisce i più deboli.